Undici febbraio duemiladieci.
BBC News dice: "Alexander McQueen, UK fashion designer, found dead".
Il Mail Online dice: "British fashion icon Alexander McQueen commits suicide days after death of his beloved mother".
Il NYTimes dice: "Alexander McQueen, designer, is dead at 40".
Il Guardian dice: "Fashion designer Alexander McQueen dies aged 40".
L'Huffington Post dice: "Alexander McQueen Dead: fashion designer commits suicide at age 40".
Undici febbraio duemiladieci, tre anni dopo.
Le scarpe strane, in passerella e nella vita reale, sono diventate un obbligo morale.
Lady Gaga fa scalpore perché esce di casa con delle ballerine anziché con le consuete Norikata Tatehana.
Anna Dello Russo si mette vestiti da sera per il giorno.
Tre quarti di mondo copiano i look di Victoria Beckham.
Nelle sfilate si vedono sempre più azzardi, sempre più estro, sempre più architettura.
Se non fosse per quello stilistuncolo da strapazzo che faceva vestiti con i capelli e pantaloni che facevano vedere il sedere, abiti con fiori veri, la moda non sarebbe a questo punto.
Se non fosse per quell'hooligan della moda, che faceva vestiti con metallo e piume, stampe hi-tech, volumetrie improponibili e strutture cubiste, la moda non sarebbe a questo punto.
Se non fosse per quel rivoluzionario, che strappava e tagliava i vestiti, li macchiava di candeggina, li lavava con gli acidi e li verniciava con pitture fluorescenti, la moda non sarebbe a questo punto.
Oggi Alexander McQueen è sulla bocca di tutti.
Per le Armadillo Shoes, per il tributo alla Cerimonia d'Apertura alle Olimpiadi di Londra, per il vestito di Kate e Philippa Middleton.
Cosa ha inventato Alexander McQueen? Cosa ci ha dato? Cosa è cambiato da quando Sarah Burton dirige il marchio?
Alexander McQueen ha inventato la donna mostro, che non era per forza bella, ma sempre particolare, eccentrica, artistica, bizzarra.
Alexander McQueen ha inventato degli esseri sovrannaturali, un po' Burtoneschi, un po' futuristici, un po' primitivi ed un po' regali.
Alexander McQueen ha creato esseri grotteschi, curiosi, quasi amorfi, con spine che uscivano dalla faccia o protuberanze sul contorno occhi, ossature supplementari, cadaveriche carnagioni contrastate da enormi labbra rosso lacca.
Ed è proprio questo il concetto di McQueen, il grottesco portato talmente tanto all'esasperazione da trasformarsi in bellezza. Una bellezza fuori dal comune, una bellezza fuori dai canoni classici, una bellezza nuova, una bellezza non bella.
McQueen era un uomo molto romantico, ma non nel senso comune del termine. La sua moda decadente era una trasposizione della sua anima, del suo cervello, del suo cuore, dediti alle sue origini, o alla natura, o alla vita stessa.
Sesso, violenza, opulenza, oscurità, classicità, morte, vita.
Alexander McQueen, adesso, chi è?
Adesso è una maison di haute couture che gioca con la natura in modo molto meno concettuale e molto più denotativo. Dove McQueen voleva rappresentare la morte e la decadenza cucendo dei fiori freschi su un vestito (fiori che poi sarebbero appassiti), Sarah Burton gioca con kaleidoscopiche stampe di farfalle, reti a nido d'ape, ricami preziosi di perle e coralli, vestiti che sembrano meduse e fenicotteri, ragni ed uccelli.
Dove in McQueen c'era dietro un'idea esplicativa dell'intero progetto, in Sarah Burton c'è la femminilità più classica e meno shockante.
Chiudo con il titolo di un articolo del Telegraph, risalente al dodici febbraio duemiladieci:
"McQueen is dead, long live McQueen".