domenica 28 ottobre 2012

Purple Rain

Guardo lo schermo del computer, come imbambolato da Prince che, con sguardo languido, accompagnato da una chitarra nostalgica e femminile, canta Purple Rain.
La sua solita giacca di pelle con il colletto alto, le sue solite ruches bianche che spuntano dal petto, i ricci che gli cadono sul viso.
La voce quasi lontana di mamma mi riporta ad una realtà buia e malinconica.
Guardo l'orologio: sono le cinque e mezza.
Vado da mamma, che sta ritirando i panni da una pioggia apocalittica.
Vedo le nuvole che si spostano veloci e cadono, sottoforma di minuscole e fredde gocce d'acqua.
D'improvviso il cielo smette di piangere e le nuvole continuano a vagare per l'atmosfera, unendosi e slegandosi tra di loro, prendendosi e lasciandosi in uno svelto ed inquietante amplesso intervallato da fugaci momenti di luce solare.

All I wanted to see you laughing in the purple rain.

Mi sveglio di soprassalto, sgranando gli occhi alla percezione di un lampo il cui bagliore ilumina scattante la mia stanza, per poi scomparire furtivo senza lasciare traccia.
Guardo una densa foschia attraverso la finestra, mi alzo dal letto e scorgo delle nuvole nere e fisse su un celo grigio, che inondano tutto ciò che sta sotto.
Tocco il fetro, appannato e gocciolante di pioggia, e lo sento ghiacciato.
Da fuori un tuono arrogante e borioso lo fa vibrare con il suo rumore battagliero e nefasto.
Lascio l'impronta sulla trasparenza sfocata dall'autunno.
Sono l'acqua che cade, sono la terra bagnata, sono i fiori appesantiti da gocce di rugiada, sono un vento violento e gelido, sono foglie scure che cadono, sono la resina che cola dal legno, sono la lavanda che allieta il naso.
Sono il cielo malinconico, sono le nuvole iraconde, sono i fulmini repentini e taglienti, sono i tuoni raccapriccianti e paurosi.
Sono il mare che si scaglia contro rocce ostinate, sono nebbia misteriosa che avvolge le montagne. Sono il freddo che scava dentro, ed arriva fino al cuore.
Sono l'algida bellezza dell'inverno che sta arrivando, immobile e ghiacciato candore dall'imponente magnificenza, doloroso gelo di sentimenti ed emozioni.
Sono l'assenza di vita, l'assenza di parola, l'assenza di sguardo, l'assenza.

mercoledì 24 ottobre 2012

DRAMA POP scena II: The Rise And Fall Of A Perfect Girl

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Questa è la storia di Ellenisia Jones.
Ellenisia nacque ad Albion, Nebraska, il 18 settembre 1933. Suo padre, Christopher, era un soldato che servì gli Stati Uniti d'America combattendo nella Prima Guerra Mondiale, dove morì.
Sua madre, Amaranthine, era una sarta che cuciva gli abiti più di tendenza fra le donne di mezz'età. Aveva conosciuto Christopher in un cabaret dove faceva la flapper girl, e lui, vedendola scintillare di perline e bellezza, subito se ne innamorò.
Bastarono due settimane per farla sua, due anni per sposarla, due anni per metterla incinta. Ellenisia nacque sotto la pioggia torrenziale del settembre del Nebraska.
A qualche mese dalla nascita si potè vedere la reale bellezza ed il reale talento della bambina. Aveva la testolina fittamente coperta di sottili capelli neri, grandi occhi blu ed una vocina squillante che tenne Christopher e Amaranthine svegli per molte, molte notti. Ma Ellenisia era anche un tipino intraprendente e spigliato, tanto da iniziare a parlare a dieci mesi dalla nascita e camminare un mese dopo.
Man mano che cresceva, Ellenisia sviluppava una bellezza ed una voce sorprendenti. I capelli neri diventavano più lunghi e di un liscio splendente, gli occhi si erano schiariti in un celeste brillante, le labbra si erano inspessite. A dieci anni la piccola era già desiderata dai suoi compagni di giochi.
La sua voce, invece, le fece ottenere talmente tanti ruoli importanti in recite e cori, che le sue coetanee la invidiavano a morte. La sua intelligenza faceva impallidire i professori, che la ritenevano inadatta per le classi che frequentava, e cercavano sempre di convincere il testardo padre a farle saltare qualche classe.
Ma la sua bellezza, in tutto il suo fulgido splendore, sbocciò quando i sedici anni bussarono alla porta.
Si sviluppò un seno prorompente, si assottigliò la vita, la voce si faceva sempre più calda ed acuta, sempre più bella.
A diciassette anni, strizzata in un costume, partecipò al suo primo concorso di bellezza, Miss Nebraska. Inutile dire che, con il dono che Madre Natura le aveva dato, lei vinse senza colpo ferire e fianco scuotere.
A diciotto anni un tipo, Mr Jackson Jacksons, le fece mettere talmente tante idee in testa da trovarsi obbligato da lei stessa e dalla sua tenacia, a farla diventare famosa. E così a diciotto anni, con la sua voce e la radio, entrò nel cuore di tanti giovani, cantando di amori infranti.
A venticinque anni, facendosi ritrarre in burlesche foto da pinup, divenne il sogno erotico degli uomini del suo tempo.
Ellenisia iniziò ad essere una delle donne più desiderate, una vera bomba sexy, una bomba sexy che non mostrava solo la sua latteria rispondendo a qualunque domande con una sciocca risatina. Ellenisia aveva cervello, e rispondeva a qualunque domanda, piccante e non, con arguzia e loquacità. Molti furono gli uomini che si innamorarono del suo cervello, del suo modo di porsi con l'interlocutore, della sua parlantina spigliata e della sua risata contagiosa.
Ellenisia aveva catturato l'America, l'aveva fatta sua.
E poi ci fu il tempo del grande amore, quello che cantava nelle radio ma che, fino a quel tempo, non era mai arrivato: e poi ci fu il tempo di Paul.
Paul Stone era un qualunque contadinotto del Kansas, devoto al suo lavoro, alla Madre Terra e ai poster delle pinup come Ellenisia appesi alla parete in camera su cui amava sognare, fantasticare e, di tanto in tanto, procurarsi piacere.
Era un bel ragazzo, con braccia forti, ma aveva un carattere aspro e scontroso, sempre diffidente ed acido.
Ancora misteriose, come le vie del Signore, sono le occasioni in cui Ellenisia e Paul si conobbero.
Ma tutti sanno, e lo sanno dai giornali, che la loro storia era intensa quanto dolorosa. Lei era sempre e costantemente sugli occhi, le bocche e le orecchie di tutti, ed alcuni avrebbero voluto averla tra le mani mentre lui, riservato com'era, non era affatto abituato a quel tenore di vita così poco privato e poco intimo.
Le litigate si sentivano per tutta Hollywood e dintorni, e qualcuno disse anche che, a causa delle arrabbiature del marito e conseguenti visite sessuali sempre meno frequenti, Ellenisia si sentì costretta a grattare i propri pruriti intimi con nientemeno che James Hollock. Lui era uscito da una relazione trafficata, lei c'era dentro fino al collo, e qualche sfuggevole e reciproca occhiata venne interpretata come un flirt vero e proprio, con tanto di amplesso al seguito.
Sarebbe inutile dire che Paul, a causa di questi pettegolezzi, subì un crollo emotivo che lo motivò ad iniziare a bere. Ma Ellenisia sapeva ciò che faceva, e sapeva che tutte quelle storie su di lei e Hollock erano solo storie, nient'altro che materiale succulento per alimentare la leggenda del suo presunto amante.
Paul credeva in sua moglie, ma poco in sé stesso, tanto da pensare di essere lui la causa di tutte le tensioni in casa, e fuori. Ma lei credeva talmente tanto in quella storia, credeva talmente tanto nell'amore tra lei e Paul, che gli fece smettere di bere.
Lui iniziò a prendere più confidenza con il mondo del successo, ed iniziò ad andare a feste e galà insieme a lei, vestito di tutto punto, cercando di sembrare meno contadinello di quanto in realtà fosse.
Ma si sa, nello showbiz sono tante le donne belle, anche se di davvero belle ce n'erano davvero poche.
Da ragazzone del Kansas con i poster pinup attaccati alle pareti, a Paul quel mondo di donne splendide faceva gola come una caramella ad un diabetico, e fu così che le voci, sempre dietro l'angolo, di una storia con tante stelle del cinema, iniziarono a volare, come il nervosismo di Ellenisia nel sentirle, come le sue urla nel vederle sui giornali, come i piatti e i vasi contro Paul.
A Paul la fama di essere marito di una donna di successo aveva fatto girar la testa, l'aveva ubriacato ed Ellenisia stava vomitando al posto suo.
Iniziarono a chiedergli ruoli per film, visto il suo bell'aspetto e la sua voce profonda. Si ipotizzò che fosse una bella presenza scenica, e fu così. Schiere di ragazze attorno a lui, giornalisti e fotografi che parlavano di lui e di Ellenisia, del loro rapporto, del fatto che lui non si decidesse a divorziare da lei chissà per quale motivo.
E lei, per ripicca, palesato il fatto che lui si fosse passato mezza Hollywood, fece lo stesso con l'altra metà, ed il declino fu compiuto: Paul inziò ad assumere atteggiamenti ossessivi e dispotici, eccessivamente misogini e maschilisti, perché poteva esser diventato un divo di Hollywood con i capelli impomatati, ma sotto quegli strati di cerone e brillantina batteva un cuore da contadinello del Kansas conservatore, quindi la donna va al secondo posto e si becca tutte le corna che le spettano, anche se per anni hai brillato della sua luce riflessa.
Proibì ad Ellenisia qualunque esibizione canora ed anche la recitazione in un film che l'avrebbe fatta sbarcare nel mondo del cinema. Cancellò tutti i suoi appuntamenti e show, la tolse e si tolse dai riflettori.
Ma il taglio era stato così netto che a lui venne il capogiro, e di nuovo ci andò dentro con l'alcool.
A letto stuprava letteralmente sua moglie, consumandola in atti brevi ma violenti, che la lasciarono incinta tre volte. Arrivarono Stephen, Jean e Charlotte, ad un anno di distanza l'uno dall'altro.
Ellenisia impazzì a badare a tre marmocchi urlanti, con un marito alcolizzato al carico che non faceva che picchiarla.
Ellenisia si spense, il 19 agosto 1978, all'età di quarantaquattro anni, dopo aver ingoiato una dose massiva di sonniferi.
I bambini vennero affidati ad Amaranthine e successivamente alla sorella di Paul, Jessica.
Ellenisia si spense, il 19 agosto 1978, in seguito a un crack nervoso, e furiosa contro sé stessa e la sua vita, afferrò il tubetto ed ingoiò tre quarti del suo contenuto.
Ellenisia si spense, ed i giornali parlarono della sua morte per mesi.
Ellenisia si spense, ma ormai non se la ricorda più nessuno.

domenica 21 ottobre 2012

Perfect Man

Mi chiedi di descriverti la perfezione. Mi chiedi di descriverti un uomo. Mi chiedi di descriverti una persona che non conosco, o che non esiste.

Mi chiedi di descriverti qualcuno dal corpo slanciato, qualcuno con begli occhi, bel naso, belle labbra, belle mani. Qualcuno che abbia le braccia abbastanza lunghe per circondarti e qualcuno che abbia un petto sufficientemente accogliente cosicché tu possa premerci la testa quando sei disperata, felice, allegra, triste, o quando hai semplicemente bisogno di qualcuno.
Mi chiedi di descriverti qualcuno che abbia gambe lunghe e resistenti per correre appresso alla tua pazzia.

Mi chiedi di descriverti un matematico che sappia decifrare la complessa geometria del tuo carattere. Mi chiedi di descriverti uno scrittore che ti racconti le fiabe prima di andare a dormire. Mi descrivi un pittore che sappia trarre ispirazione da te. Mi chiedi di descriverti un medico che possa curarti ed un infermiere che possa badare a te. Mi chiedi di descriverti uno stilista che sappia vestirti, un musichiere che sappia rilassare la tua mente con poetiche melodie. Mi chiedi di descriverti un minatore che possa scavare nella tua anima, buia ed intricata come la più lunga galleria. Mi chiedi di descriverti un panettiere che possa saziare la tua curiosità. Mi chiedi di descriverti un sarto che avvolga il tuo corpo nel velluto e nel raso. Mi chiedi di descriverti un pagliaccio che sappia farti ridere, un equilibrista che sappia stare in piedi nel filo sottilissimo del tuo essere, un trapezista che salti da una parte all'altra della tua personalità.

Mi chiedi troppo. 

DRAMA POP scena I: Suicide Blonde


 
Il sole splende nel paesaggio patinato e mondano di West Hollywood. Splende sugli alberi della collina, splende sugli edifici moderni, splende sulla piscina dello Chateau Marmont. Ma uno dei bungalows al lato piscina ha le persiane chiuse, e dentro di esso governa il buio più totale. Vestiti stropicciati e bicchieri umidi di whiskey nascondono il pavimento, e qualcuno sta dormendo sul letto sfatto. Qualcuno entra prepotentemente nella stanza e dice alla persona che dorme “Michelle, svegliati, è tardi!”.
Dal fascio di luce che illumina la stanza, possiamo vedere chi sta dormendo sul letto. E' una donna, si potrebbe dedurre che si stia avviando ai quaranta, ma manca ancora qualche passo. Il corpo di una carnagione diafana è posato sul letto, e rivela tutte le sue curve ed i suoi segreti, per niente preoccupato nel mostrarli. Scorgiamo dei fianchi pronunciati e più su una vita stretta, una discesa morbida ma ripida, che poi si riprende in un seno dal magnifico profilo, sovrastato da un viso aggraziato, decorato da labbra invitanti, da due occhi splendenti ed incorniciato da capelli lisci e biondi.
Ne avrà trentasette. Ad essere proprio bastardi, ne mostra trenta. Questo corpo, però, ancora dal letto non si alza.
“Michelle, cazzo, alzati!” le dice un uomo, scrollandola violentemente.
Michelle grugnisce infastidita, poi sussurra “Michael, vieni qui”.
“Che vuoi?”
“Vieni qui”
“No, alzati”
Michelle lo guarda con uno sguardo irato. Afferra la bottiglia di whiskey accanto ai sonniferi ed inizia a tracannarne un quarto in un sorso.
Aspetta che Michael se ne vada ed afferra la cornetta, digitando un numero sulla tastiera numerica.
“Pronto, servizio in camera? Vorrei un Bloody Mary”
“In che stanza?”
“Il secondo bungalow lato piscina”
“Arriviamo subito”.
Cinque minuti dopo bussano alla sua porta. Michelle apre la porta nuda ad un carrello guidato da un alto e muscoloso cameriere.
“Ciao” dice, con fare lascivo.
“Salve” dice il cameriere, evidentemente imbarazzato, in tutti i sensi, “dove le poso il Bloody Mary”
“Posalo dove vuoi” dice, suadente, “e poi vieni con me” e si stende sul letto, a gambe aperte, carezzandosi il seno.

Il cameriere si avvicina a lei, ipnotizzato ed eccitato, si distende sul letto ed accosta il suo corpo a quello di Michelle.
Lei si sta offrendo a lui portando in fuori il petto, offrendogli il collo sudaticcio e profumato di erotismo. Gli prende la mano e la guida verso le colline del seno e poi giù, verso le foreste della California. Lui accarezza i suoi alberi sapientemente, e fa diventare più puntute di piacere le colline del suo seno mentre affonda le sue dita sul terreno umido e fertile. Le dita entrano ed escono e scavano e piantano, si fanno spazio prepotenti, mentre la sua lingua entra arrogante nella bocca di Michelle e la bagna e la stropiccia.
Le dita percuotono quel terreno come un terremoto, ed entrano ed escono ad una velocità sempre più alta, con una frequenza sempre maggiore, fino a quando non piove sul terreno, ed il terreno si riempie di vita. Poi lei, dissetata da quell'acqua benefica, si mette a cavalcioni su di lui ed inizia a spogliarlo furiosamente, fino a quando non arriva alle mutande inverosimilmente gonfie. Dietro il loro tessuto c'è vita pulsante, vita che attende di essere vissuta, e Michelle inizia ad accarezzare quella vita, poi la afferra in tutta la sua lunghezza ed inizia a scuoterla su e giù prima delicatamente e lentamente, poi sempre più velocemente. Poi, con la sua lingua esperta, inizia ad inumidire la punta di quella vita, a stuzzicare quella parte di vita che sta facendo gemere il cameriere, poi la mangia con gusto, la ingoia, ne ingoia i frutti, tutto questo mentre lui le spinge la testa sempre più giù, mentre le urla parole oscene. Giusto il tempo di farlo rianimare, quel povero cameriere preso alla sprovvista, ed è sopra di lui a cavalcarlo fieramente. Il cameriere sapeva già che la signora Stephens avesse l'usanza di ordinare Bloody Mary per soddisfare i suoi pruriti sessuali. Quella puttana. Prima Jim Matthews, poi Colin McJameson, poi un principe europeo, poi Sam Petersen, poi Miles Heathrow, tutti traditi l'uno con l'altro e con una serie di amanti a breve conservazione noleggiati con il servizio in camera. Adesso Michael Fortini. Quella puttanella di Hollywood che lasciava uomini squattrinati al suo passaggio, uomini che prima erano ricchi e che poi mangiava come cosce di pollo, succhiando e tirando via anche il più fine strato di pelle dall'osso. Dove andava lei, c'erano sempre scandali e notizie succulente per i tabloid, sempre incidenti in macchina causa alto tasso alcolemico, sempre tragedie, sempre storie, sempre litigate con il marito di turno, tutto ovviamente fuori dal focolare domestico, sotto gli occhi di tutti, perché la vita di Michelle Stephens conta soltanto se è pubblica. Ora si sta facendo cavalcare da lei, come di consueto.
Ma stanco di quel ruolo da vittima, il cameriere ribalta situazione e posizione, e Michelle si ritrova a subire i suoi violenti e celestiali affondi come se fossero tanti stiletti cosparsi di miele. Lei gli graffia prepotentemente la schiena, e gli spinge il sedere sodo dentro di sé, sempre di più, fino a quando lui non fertilizza la sua foresta in un sudato, urlato, forsennato, violento e veloce momento di piacere estremo. Si separano, e lei si fuma una sigaretta, mentre vede lui che si pulisce e si asciuga il sudore, mentre si veste e copre quel corpo da Adone con la divisa.
“Tieni il tuo cazzo a portata di mano, e grazie per il Bloody Mary” dice lei, buttando una densa nuvola di fumo.
Poi il cameriere se ne va, lasciando la sua scia di sudore e sperma, fuori dal bungalow.
Entra Michael, che prende una sigaretta dal comò e la accende.
“Chi ti sei fottuta oggi?” fa, con un sorriso amaro.
“Non gli ho neanche chiesto il nome”
“Che classe”
“Già”
“Senti, fra tre quarti d'ora devi essere bella e pronta”
“Perché?”
“Perché c'è la premiazione”
“Ah, sì. Era oggi?!”
“Sì, era oggi”.
Caccia frettolosamente Michael dalla stanza ed inizia a prepararsi, gustandosi nel frattempo lunghi sorsi di whiskey. Migliore attrice protagonista per Broken Mirrors, una vincita assicurata. La sua migliore performance di sempre, praticamente una statuetta già abbonata.
Si traccia una lunga e spessa riga di eye liner, si infoltisce le ciglia con il mascara nero, si insanguina le labbra con il rossetto, si attacca i lunghi capelli biondi con uno chignon in cui infila una rosa bianca, si sistema la frangetta, si veste con un abito lungo con uno spacco alto ed una scollatura profondissima, coprendosi dalla frescura invernale californiana da quindici gradi con una stola di tanti cadaveri di volpe, si spruzza sul collo un'abbondante ed avvolgente nuvola di aldeidi e fiori. Poi esce dal bungalow e si avvia alla hall principale, dove la attendono la sua agente, Michael, qualche amica e le guardie del corpo. Uscita dallo Chateau Marmont tutto si fa bianco ed accecante, un fracasso ed un vociare di giornalisti che fanno domande imbarazzanti, le guardie che la circondano stretta stretta, una confusione talmente claustrofobica da farla sentire in una stanza le cui pareti si avvicinano sempre di più, in una morsa fatale. Si avvia velocemente ma difficoltosamente nella limousine e nel frattempo, evidentemente ubriaca, dà un calcio sui denti con il tacco ad un paparazzo che cerca di fotografare dentro lo spacco. Entra arrancando nella limousine, tirando un sospiro di sollievo mentre la guardia chiude la portiera.
Fissa fuori dal finestrino bevendo champagne.
“Michelle, chiedo il divorzio”
“Mh”
“Come mh?!”
“Chiedi il divorzio? Cazzi tuoi, non me ne faccio niente di bastardi cerca-fama a sbafo il cui cazzo non si alza neanche a pregarlo. Scendi dalla macchina, perdente” dice, con fare altezzoso.
Michael deglutisce, poi inizia ad urlare “Tu non puoi trattarmi così! Tu non sai chi sono io!”
“Chi cazzo sei tu? Tutto il successo e i soldi che hai te li ho dati io, il lusso ed il benessere te li ho presentati io, tu non eri nessuno e continuerai a non essere nessuno. Ora porta il tuo cazzo moscio fuori dalla mia limousine” dice, con un impercettibile filo di rabbia nella voce fintamente tranquilla ed impassibile.
“Vaffanculo” dice Michael, e scende dalla limousine.
Michelle torna a guardare dalla finestra, contemplando un altro fallimento. Un altro uomo insoddisfatto di una donna insoddisfatta. Perché lei è sempre, costantemente insoddisfatta. Insoddisfatta dai soldi, dall'amore, dal sesso, dalla vita, dalla felicità, talmente tanto insoddisfatta da volerne sempre di più di essi, a costo di combinare casini, come Michael, come Colin, come Sam e gli altri. Forse non è tagliata per la vita da mogliettina perfetta, forse vuole troppo sesso per cercare l'amore, forse è troppo complicata.
Finisce il suo champagne tracannandolo velocemente.
Scende dalla limo, arrivata al Kodak, e di nuovo c'è un tripudio di telecamere, flash, paparazzi insistenti e mal di testa. Calca il tappeto rosso e subito si avvicina a lei una giornalista di E! News.
“Signora Stephens, dove è il signor Stephens”
“Ha chiesto il divorzio, quindi l'ho lasciato a piedi” dice, fiera.
La giornalista è esterrefatta; quale sarà? Il quinto? Il sesto?
“Ci dica di più!”
“Niente di speciale, mi ha beccata più volte a fottermi furiosamente uomini più belli e prestanti di lui e lui, coperto di vergogna, ha deciso di darci un taglio, e forse gli farà bene, visto che la sua autostima misura quanto la sua virilità” dice, con uno sguardo sagace. Poi saluta la telecamera. La giornalista è shockata, insieme a tutti gli altri milioni di spettatori in collegamento che hanno appena sentito dire “fottermi” in diretta nazionale.
Precipitosamente arriva Josh.
“Michelle, ti rendi conto di cosa hai fatto?”
“Josh, mi vai a prendere un whiskey? Liscio, cortesemente”
“Te lo vai a prendere, il whiskey” dice, arrabbiato.
“Josh, quanto ti pago?”
“Cinquantamila dollari al mese”
“E secondo te non mi merito un fottutissimo whiskey liscio?”
Josh la guarda preoccupato. Preoccupato per la sua sanità mentale, per quella di Michelle, per il suo stipendio e per il fatto che, se lei continua a bere whiskey liscio e sonniferi, si ritroverà sul lastrico. Beh, magari potrà spendere due parole su quanto fosse splendida eccetera dopo la sua morte e guadagnare lo stesso una barca di soldi.

Michelle guarda annoiata quel palco da più di due ore. Di whiskey se n'è scolata tre, tutti in un sorso, e Josh è seduto accanto a lei, che cerca di sistemare la situazione il meglio che può.
Dopo tutti quei fronzoli e cerimoniali, arriva la premiazione per “Migliore Attrice Protagonista”.
Michelle sta guardando le sue rivali da lontano, sedute da tutt'altra fila di poltrone. Hellen Sharp, una di quelle, la saluta da lontano, mostrandole un sincero sorriso.
Michelle guarda Josh schifata, poi si gira verso Hellen e le mostra un sorriso di circostanza palesemente finto.
“E la vincitrice è...”
Michelle chiude gli occhi, sicura della risposta. Si può chiaramente leggere un'ombra di vittoria sul suo volto, una spavalderia per niente censurata da quel sorriso di superiorità irritante quanto tremendamente bello.
“Hellen Sharp!”.
Parte la musichetta da pantomima svenevole e tutti i ringraziamenti annessi e connessi.
Helen Sharp sale sul palco, raggiante ed allegra, e Michelle la guarda, delusa e ferita.
Guarda tutto sfocato. I whiskey non la stanno aiutando per niente, e Josh, con le sue mani viscide e sudaticce, la sta abbracciando in una mossa stretta e soffocante, sussurrandole parole del tipo “Sei magnifica lo stesso”.
Michelle si alza irata e si dirige verso il palco. Strappa la statuetta dalla mano di Hellen e la scaraventa a terra.
“Questa puttana non sarà mai brava quanto me!” dice. La vena sulla tempia sembra esploderle, e le facce che fa quando urla sembrano grottesche, sceniche ed esilaranti.
Il pubblico la guarda divertito, guarda divertito il declino di un'altra stella splendente di Hollywood, la cui luce è stata così abbagliante da risultare accecante anche per sé stessa.
Ed ecco che Josh la scorta verso le poltrone, mentre lei si dimena fra le sue braccia.
“Quella statuetta era mia!” dice, tra lacrime di mascara.
“No, non è tua!” dice minacciosamente Josh, a bassa voce “E' sua. Rassegnati”.

Bevi un lungo sorso di whiskey. Stai aspettando. Stai aspettando il momento in cui il tuo corpo splendido e la tua vita sotto i riflettori se ne andranno. Stai annegando nell'alcool tutti gli scandali, i matrimoni, la chirurgia plastica, il dolore, la solitudine. Stai aspettando il tuo eterno riposo barbiturico, avvolta da una nuvola di Chanel No.5.
Dormi, Venere narcotizzata, bionda suicida. Vedrai che domani andrà tutto meglio.

DRAMA POP


Fama, successo, soldi, bellezza, avvenenza, fascino, splendore. Decadenza, vecchiaia, solitudine, depressione, tristezza, morte. Siedi su quella poltrona di velluto rosso, e guarda lo schermo.

sabato 20 ottobre 2012

21.07.2005 - I'm on the edge with you.


Chissà perché ogni volta che sento quella canzone, il mio naso ed il mio cervello sentono odori che non ci sono. E sento un incenso, sacro e funerario, fiori bagnati, terriccio scaldato dal Sole di un luglio soffocante ed opprimente. Quella canzone mi rimanda a quel 21 luglio, ed al funerale di qualche giorno dopo. Al tuo corpo accasciato sul letto, la mano inerte, il corpo come schiacciato da una vita pesante ma bellissima.
Ma io sono troppo romantico per pensare alla vita ed alla morte come vita e come morte. Io penso alla vita come una pièce teatrale, dove siamo tutti attori: protagonisti, antagonisti, comparse, controfigure, camei.
Quindi il ventuno sette duemilacinque andò in scena la bellissima biografia di Giovanni Incammicia, dell'uomo che rideva e faceva ridere.

Pesci freschi la domenica, panati e fritti, da mangiare con le mani. Il rumore delle monete tintinnanti nella tasca dei tuoi pantaloni, causato da una gamba destra che non vuole star ferma neanche quando sei seduto. Una scatolina da cinque praline di Pocket Coffee, qualche tavoletta di cioccolato. Il mio bottino della domenica, ciò che mi dai ogni volta che vieni a mangiare a casa da noi. E gioco al dottore e ti prescrivo chissà cosa, al concessionario auto e ti vendo chissà quale macchina, al maestro e ti insegno chissà cosa. E tu, con pazienza, ascolti tutto ciò che ho da dire, perché pensi che sia importante, o forse perché vuoi semplicemente divertirmi o rendermi felice, mentre mamma prepara il pranzo e papà guarda la Formula 1.
Tiri il solito fazzoletto di cotone leggero e ti soffi quel naso grosso e simpatico con fare buffo. Poi, a fine pranzo, come di consueto, tiri fuori dalla tasca interna della tua giacca un blister di Zantac, e ne inghiotti una. E nel frattempo fumi MS senza filtro, Benson, Stuyvesan, Merit, Diana
Poi accadde il ventuno luglio duemilacinque, mamma che batte i muri disperata, papà che guarda la scena basito, io che non riesco a crederci. Il tempo sembra passare così veloce, poi così lento. La scena davanti ai miei occhi sembra sciogliersi ed offuscarsi, bagnarsi di lacrime, dolore liquido, sale, morte. 
Poi fiori, tanti fiori. Gigli, rose, gelsomino, passiflore. Poi fumetti, trucchi, LP scoperti con mia cugina in ripostigli ed armadietti, le solite cacce alle oche selvatiche che i bambini fanno a casa dei nonni. Troviamo il cappotto rosso della nonna, pregno del suo profumo e di polvere. Com'era la nonna? La mamma la descrive come una donna dalla bellezza accecante, con denti bianchissimi e sguardo sereno. La zia descrive la sua pelle come si descrive il velluto di una pesca. Lo zio semplicemente dice che era bellissima.
La amavi, vero? La amavi tanto, come lei amava te. Poi Madame Morte ha macchiato il suo sangue, l'ha diluito con l'acqua, e l'ha fatta sua nel giro di quattro anni, prima che io urlassi per la prima volta. Mamma racconta sempre che quando era viva tu eri l'anima della casa, le risate ed il divertimento, il buffone di corte al cospetto di una regina che per te era più importante del Sole. Ma quando il Sole si spegne, i pianeti attorno diventano freddi, e perdesti la verve di una volta, sostituita da un'espressione ancora ridanciana e rilassata, ma da occhi profondamente tristi.
E quel ventuno luglio duemilacinque fu una stoccata per tutti noi. Arrivò, quel giorno, violento come una bomba, veloce come un proiettile, tagliente come un rasoio, e ci massacrò fino a lasciarci nudi al mondo, senza la grande anima, quell'anima che rideva sempre.
Ci lasciasti vuoti, scavati all'interno del nostro essere, privi di gioia o speranza, semplicemente neri. Puzzavamo di sudore ed incenso, e le nostre mani sapevano della cera delle candele.
Tutti accomunati da un dolore grande quanto l'intero universo, da una disperazione così cattiva da lasciarci in balìa all'insanità mentale. Barche in un mare tempestoso senza un faro, ciechi in mezzo alla folla senza un bastone, bambini alle giostre senza genitori. Ci sentivamo così, smarriti, soli.

E fu sera e fu mattina per tante volte, fino ad arrivare a questa notte. Penso ancora a te, nel palco della tua vita, quel ventuno sette duemilacinque, a ricevere standing ovations fragorose ed entusiaste. Vedo la tua pelle increspata dal tempo, il tuo sguardo bonario, i tuoi occhi orgogliosi ed ancora gioviali, vedo la tua mano che saluta lentamente ed elegantemente il pubblico, che ricambia al tuo gesto tirandoti fiori e cartoline di auguri e di affetto. Il sipario cala, solenne e sgargiante nel suo rosso di velluto tenebroso e teatrale. 
Guardi il palco, a luci spente, coperto di fiori e bigliettini, orgoglioso della vita che hai passato, delle esperienze che hai avuto. Pensi a tua moglie, con cui riposerai fino alla fine del mondo. Pensi ai tuoi bellissimi figli, pensi ai tuoi nipotini, soprattutto all'ultimo arrivato, Samuele, di appena sette mesi. Come farà lui senza di te? Come crescerà? Saprà mai cosa significa l'allegria, se tu non ci sei?

Quel ventuno sette duemilacinque hai compiuto una magia: ci hai lasciato, vivo e visibile nella mente, il ricordo di un grande uomo.

I'm on the Edge Of Glory, and I'm hanging on a moment with you.
I'm on the Edge with you, Giovanni.