sabato 20 ottobre 2012

21.07.2005 - I'm on the edge with you.


Chissà perché ogni volta che sento quella canzone, il mio naso ed il mio cervello sentono odori che non ci sono. E sento un incenso, sacro e funerario, fiori bagnati, terriccio scaldato dal Sole di un luglio soffocante ed opprimente. Quella canzone mi rimanda a quel 21 luglio, ed al funerale di qualche giorno dopo. Al tuo corpo accasciato sul letto, la mano inerte, il corpo come schiacciato da una vita pesante ma bellissima.
Ma io sono troppo romantico per pensare alla vita ed alla morte come vita e come morte. Io penso alla vita come una pièce teatrale, dove siamo tutti attori: protagonisti, antagonisti, comparse, controfigure, camei.
Quindi il ventuno sette duemilacinque andò in scena la bellissima biografia di Giovanni Incammicia, dell'uomo che rideva e faceva ridere.

Pesci freschi la domenica, panati e fritti, da mangiare con le mani. Il rumore delle monete tintinnanti nella tasca dei tuoi pantaloni, causato da una gamba destra che non vuole star ferma neanche quando sei seduto. Una scatolina da cinque praline di Pocket Coffee, qualche tavoletta di cioccolato. Il mio bottino della domenica, ciò che mi dai ogni volta che vieni a mangiare a casa da noi. E gioco al dottore e ti prescrivo chissà cosa, al concessionario auto e ti vendo chissà quale macchina, al maestro e ti insegno chissà cosa. E tu, con pazienza, ascolti tutto ciò che ho da dire, perché pensi che sia importante, o forse perché vuoi semplicemente divertirmi o rendermi felice, mentre mamma prepara il pranzo e papà guarda la Formula 1.
Tiri il solito fazzoletto di cotone leggero e ti soffi quel naso grosso e simpatico con fare buffo. Poi, a fine pranzo, come di consueto, tiri fuori dalla tasca interna della tua giacca un blister di Zantac, e ne inghiotti una. E nel frattempo fumi MS senza filtro, Benson, Stuyvesan, Merit, Diana
Poi accadde il ventuno luglio duemilacinque, mamma che batte i muri disperata, papà che guarda la scena basito, io che non riesco a crederci. Il tempo sembra passare così veloce, poi così lento. La scena davanti ai miei occhi sembra sciogliersi ed offuscarsi, bagnarsi di lacrime, dolore liquido, sale, morte. 
Poi fiori, tanti fiori. Gigli, rose, gelsomino, passiflore. Poi fumetti, trucchi, LP scoperti con mia cugina in ripostigli ed armadietti, le solite cacce alle oche selvatiche che i bambini fanno a casa dei nonni. Troviamo il cappotto rosso della nonna, pregno del suo profumo e di polvere. Com'era la nonna? La mamma la descrive come una donna dalla bellezza accecante, con denti bianchissimi e sguardo sereno. La zia descrive la sua pelle come si descrive il velluto di una pesca. Lo zio semplicemente dice che era bellissima.
La amavi, vero? La amavi tanto, come lei amava te. Poi Madame Morte ha macchiato il suo sangue, l'ha diluito con l'acqua, e l'ha fatta sua nel giro di quattro anni, prima che io urlassi per la prima volta. Mamma racconta sempre che quando era viva tu eri l'anima della casa, le risate ed il divertimento, il buffone di corte al cospetto di una regina che per te era più importante del Sole. Ma quando il Sole si spegne, i pianeti attorno diventano freddi, e perdesti la verve di una volta, sostituita da un'espressione ancora ridanciana e rilassata, ma da occhi profondamente tristi.
E quel ventuno luglio duemilacinque fu una stoccata per tutti noi. Arrivò, quel giorno, violento come una bomba, veloce come un proiettile, tagliente come un rasoio, e ci massacrò fino a lasciarci nudi al mondo, senza la grande anima, quell'anima che rideva sempre.
Ci lasciasti vuoti, scavati all'interno del nostro essere, privi di gioia o speranza, semplicemente neri. Puzzavamo di sudore ed incenso, e le nostre mani sapevano della cera delle candele.
Tutti accomunati da un dolore grande quanto l'intero universo, da una disperazione così cattiva da lasciarci in balìa all'insanità mentale. Barche in un mare tempestoso senza un faro, ciechi in mezzo alla folla senza un bastone, bambini alle giostre senza genitori. Ci sentivamo così, smarriti, soli.

E fu sera e fu mattina per tante volte, fino ad arrivare a questa notte. Penso ancora a te, nel palco della tua vita, quel ventuno sette duemilacinque, a ricevere standing ovations fragorose ed entusiaste. Vedo la tua pelle increspata dal tempo, il tuo sguardo bonario, i tuoi occhi orgogliosi ed ancora gioviali, vedo la tua mano che saluta lentamente ed elegantemente il pubblico, che ricambia al tuo gesto tirandoti fiori e cartoline di auguri e di affetto. Il sipario cala, solenne e sgargiante nel suo rosso di velluto tenebroso e teatrale. 
Guardi il palco, a luci spente, coperto di fiori e bigliettini, orgoglioso della vita che hai passato, delle esperienze che hai avuto. Pensi a tua moglie, con cui riposerai fino alla fine del mondo. Pensi ai tuoi bellissimi figli, pensi ai tuoi nipotini, soprattutto all'ultimo arrivato, Samuele, di appena sette mesi. Come farà lui senza di te? Come crescerà? Saprà mai cosa significa l'allegria, se tu non ci sei?

Quel ventuno sette duemilacinque hai compiuto una magia: ci hai lasciato, vivo e visibile nella mente, il ricordo di un grande uomo.

I'm on the Edge Of Glory, and I'm hanging on a moment with you.
I'm on the Edge with you, Giovanni. 



  

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